Ilenia Rizza

Dalle ricerche emerge che i genitori italiani giochino meno di 15 minuti al giorno con i propri figli, dati nettamente inferiore rispetto alla popolazione europea.

Per la maggior parte, il tempo che i bambini condividono con i genitori sono legati ala visione di un cartone o a un gioco sul tablet. Preferiti dai genitori sono poi i giochi strutturati, vale a dire con regole e procedure già definite dal produttore del gioco, si pensi per esempio al gioco dell’oca, uno o monopoli.

Inutile nascondercelo, la società di oggi procede molto velocemente e riuscire a trovare il tempo durante la settimana per un momento di gioco condiviso può essere difficile. Tuttavia, la questione non è solo il tempo; spesso il gioco simbolico, ovvero il “far finta di” imbarazza non poco gli adulti. Immaginatevi al parchetto a fingere di cucinare e servire una pasta al sugo o peggio ancora a far finta di essere ferito a una gamba perché colpiti da uno sparo di pistola.

Giocare con i bambini richiede di mettersi in gioco (scusate il gioco di parole!;)) e di tornare in contatto con la propria parte bambina.

Nella stanza magica porto spesso materiale di recupero e di riciclo e mi stupisco sempre di come gli oggetti prendano nuova vita. Un tappo diventa un piatto, una medicina, un bicchiere, un fiore, un soldino, una bomba o una perla preziosa. Io stessa ho faticato a ritrovare la mia fantasia e creatività  e che ora, grazie a bambini,  ho rispolverato permettendomi di divertirmi da morire (a volte ho la sensazione di non star neppure lavorando!).

Detto questo, l’articolo vuole essere un invito a trovare un momento durante la settimana, anche nel weekend, dove dedicarsi al gioco condiviso con i vostri figli. Prendete la bicicletta, fate un bel giretto all’aria aperta, fermatevi in mezzo a un prato e lasciatevi stupire dal viaggio che farete insieme ai bambini. Per giocare non serve nulla, solo la fantasia.

Il gioco è uno strumento di comunicazione che il bambino ha a diposizione, giocare con loro è come dirgli: “il tuo modo di comunicare mi piace e voglio capirlo”; è quindi un forte messaggio affettivo.

Vediamo ora perché è importante il gioco condiviso.

In primis sappiamo che il gioco, essendo il loro territorio, diventa preziosa occasione per comunicare regole e ruoli sociali. Si pensi per esempio a quando giochiamo “al dottore” dove dopo la visita e la somministrazione delle medicine, ci si congeda con saluti e ringraziamenti. In questo gioco il bambino apprende in autonomia che, terminata una visita, si saluta e ringrazia evitando quella situazione spiacevole ed imbarazzante del “saluta il Dottore” con il bambino nascosto tra le gambe.

Inoltre, il gioco condiviso con l’adulto,  arricchisce la trama narrativa e linguistica del bambino. Un famoso psicologo di nome Vygotskij ha parlato di zona di sviluppo prossimale, ovvero una sorta di ponte tra le capacità di sviluppo attuali del bambino e quelle potenziali, ottenibili attraverso l’iterazione con una persona più esperta, in questo caso l’adulto. È quest’ultimo che, attraverso una padronanza del linguaggio, favorisce l’innalzamento dell’abilità linguistica.

Il gioco diventa poi occasione per comunicare all’adulto eventuali fatiche o preoccupazioni emotive. Non è un caso se il gioco più ricorrente che i bambini fanno è quello del dottore, della maestra cattiva o del lupo.

Attenzione, può capitare che i maschietti abbiano il desiderio d’impersonificare la mamma o fare una principessa del castello. Davanti a queste richieste spesso i papà si spaventano molto perché vi è un richiamo (errato) al tema dell’omosessualità.

Un bambino che gioca a fare la principessa può, per esempio, semplicemente avere il desiderio di sperimentare caratteristiche di fragilità, desiderio di protezione o di persuasione senza che questo significhi altro legato alla sessualità.

Non rare sono le situazioni di maschietti che fingono di allattare un piccolo bebè, cucinano, stirano e lavano. Anche in questo caso il messaggio che il bambino ci sta dando è semplicemente un desiderio di sperimentare e masticarsi alcune emozioni connesse, per esempio,  all’avere un fratellino, al dover condividere il tempo della mamma con le faccende domestiche, un desiderio di un ruolo importante e decisivo,…

Lasciate quindi che i bambini godano dei momenti di gioco richiesto e perdetevi nei giochi fantasiosi dei vostri bambini.

Ma ora vi chiederete, che cosa è la psicomotricità? Perché dovremmo partecipare al corso?

Per rispondere alla prima domanda vi rimando a questo articolo: https://www.ileniarizza.it/blog/la-psicomotricità-questa-sconosciuta

Alla seconda invece, provo a dare una breve risposta.

In primis, come detto in precedenza è fondamentale dedicare del tempo di qualità per giocare con il bambino al fine di  garantire un benessere psicofisico globale del bambino.

Lo spazio in cui si svolge il corso è un posto pensato ad hoc al fine di favorire tipologie di gioco difficilmente attuabili nel contesto quotidiano.

Elemento importante è anche la presenza di una figura esterna come quella della psicomotricista che aiuta il genitore a fare il focus e a osservare aspetti del proprio bambino che prima non aveva notato. L’essere all’interno di una relazione emotiva forte fa sì che lo sguardo del caregiver si concentri solo su alcuni aspetti piuttosto che sulla globalità del bambino.

È nella magia del setting psicomotorio che si creano forti momenti di sintonia tra la madre e il bambino.

Inoltre, il supporto e la presenza della psicomotricista e delle altre mamme offre la possibilità di capire come gestire delle situazioni e confrontarsi su temi specifici che riguardano la crescita dei piccoli.

Vi aspetto!

Ilenia